Come sappiamo l’industria della moda è una delle più inquinanti al mondo (è considerata per emissione di gas serra la 4° in dimensioni assolute). Per intenderci, parliamo in Europa (secondo dati della Commissione Europea), di circa 11kg pro-capite annuo di rifiuti. Dato allarmante, anche perché in forte crescita negli ultimi anni e – secondo tutte le previsioni – destinato a crescere ulteriormente per effetto in particolare del Fast Fashion (dal 2020 secondo una stima di Mc-Kinsey e del World Economic Forum la produzione di abiti è, ad oggi, almeno raddoppiata). Il punto nevralgico è che lo stesso Business Model del settore si basa sul principio dello spreco e dell’uso limitato nel tempo di ogni capo (da cui, poi, la continua presentazione e produzione di nuove collezioni).
Durante la Monte Carlo Fashion Week di Maggio 2022 – che fa dell’attenzione all’economia circolare e alla moda etica uno dei propri tratti distintivi – ne abbiamo parlato alla conferenza “Circular economy and sustainability” in occasione dei “The Responsible Fashion Meetings” con Matteo Ward, Annabelle Jaeger (Seydoux), Claudio Betti (Camera Buyer Italia), Alexis Giannotti, Ines Bensalah, Verabuccia.
Il tema, scendendo dal principio generale – su cui tutti siamo tendenzialmente d’accordo – della diminuzione o annullamento dell’impronta carbonica del settore al piano del che fare, è ovviamente molto complesso e viene diversamente interpretato dai diversi brand del lusso e della moda sostenibile. Introdurre e rendere concreti principi come quello del “costo per uso” (per valorizzare prodotti durevoli e “senza tempo”) piuttosto che di uso di materie prime da fonti rinnovabili o da materiali riciclati. I grandi gruppi si stanno impegnando (anche perché obbligati da una crescente attenzione sia dei legislatori che dell’opinione pubblica, meno al momento sembrerebbe dalle scelte dei consumatori) su progetti in questo ambito dandosi obiettivi di utilizzo di diversi materiali, di “bando” all’utilizzo di alcune materie prime (ad esempio pellicce) oppure finanziando progetti di start up in questo ambito venendo in qualche caso tacciati di #greenwashing dagli attivisti.
Riflettendo sul tema ci sembra che – come spesso nei processi di cambiamento profondi e di lungo periodo della società– si stiano confrontando approcci “radicali” ad approcci “riformisti” senza contare ovviamente gli “indifferenti”, ovvero la maggioranza silenziosa.
La domanda che rimane senza risposta è quella fatta qualche tempo fa da Giorgio Armani: “è possibile riformare il sistema?”. È possibile tornare ad un sistema moda a misura d’uomo?
Come Regenesi stiamo interpretando il dilemma, sin dalla nostra nascita nel 2008, applicando l’idea di circolarità nel settore moda e design perseguendo i principi dell‘upcycling cercando cioè di utilizzare i materiali di scarto – spesso rigenerati attraverso processi industriali innovativi – dando vita a nuovi prodotti di più alto valore, avendo particolarmente lavorato sul concetto di borse ecosostenibili. Lavoriamo per aggiungere alle 3 R della sostenibilità (Reduce, Re-use, Recycle) quelle di Re-think e di Re-design.
L’ upcycling offre un’alternativa concreta, trasformando rifiuti tessili e capi di abbigliamento esausti (ma non solo) in accessori moda o design con un alto valore simbolico.
In questo modo aiutiamo l’industria a sviluppare metodi di produzione più sostenibili e contemporaneamente stimoliamo i consumatori nel diventare consapevoli verso un nuovo modo di fare shopping e di vivere la ricerca del bello. Noi diciamo, un mondo dove il bello sia sostenibile.
Ci rendiamo conto che spesso la circolarità sia un problema di prospettiva con cui guardiamo il mondo della moda a cui bisogna poi però dare un seguito concreto. Il poeta diceva – molto meglio di noi – che “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
E tu vuoi provare a rendere concreto un progetto di sostenibilità?